PAOLO DE CECCO
(1843 – 1922)
Pittore, incisore, musicista, agricoltore
(1843 – 1922)
Pittore, incisore, musicista, agricoltore
Paolo De Cecco, genio artistico poliedrico, nacque il 13 aprile 1843 a Città Sant’Angelo, oggi in provincia di Pescara, allora di Teramo, da Raffaele Antonio e da Berenice Baiocchi. Nel 1860, ottenuta la maturità liceale, si reca a Napoli, dove si iscrive alla Facoltà di Medicina e Chirurgia. Presto, però, sì accorge che non è portato per quella disciplina e, alle prime autopsie, abbandona definitivamente l’Università.
Negli anni Sessanta, poiché l’assegno della famiglia era insufficiente per sbarcare il lunario, si dedicò intensamente alla sua vera passione artistica: la pittura.
La natura, com’era avvenuto per altri conterranei, dai Palizzi a Michetti, fu la sua grande ispiratrice. Disegnò volti, figure di giovani donne in costume, scene di vita all’aperto, paesaggi, greggi pasturanti, muletti, cavalli, mucche, branchi di maiali, casolari, contadini e pescatori solitari.
A Napoli conobbe Francesco Paolo Michetti e frequentò l’Istituto di Belle Arti sotto l’insegnamento del grande maestro napoletano Domenico Morelli.
Egli, però, alla fine degli anni Settanta, invece di percorrere la strada della pittura fino in fondo, lasciò pennelli e colori e si dette alla musica, altra sua grande passione artistica. Da Napoli partì per Firenze, diventando un concertista magnifico di un umile strumento: il mandolino, e se ne andò peregrinando come un antico trovatore provenzale.
A Milano, nel febbraio del 1878, riscosse incondizionati successi di pubblico e di critica con i suoi concerti al punto che il poeta Andrea Maffei gli dedicò una poesia e si proclamò suo devoto, dicendosi stupito come “da un piccolo stromento com’è il mandolino si potessero cavare toni soavissimi, ma così robusti”.
Sull’onda dei consensi ottenuti, nell’anno 1878 cominciò a prendere in considerazione l’idea di trasferirsi in Francia; e così da Firenze, nel marzo 1878, si trasferì a Parigi, dove anche qui conseguì uno strepitoso successo.
Le frequenti crisi di angina pectoris ed un successivo ictus cerebrale, che compromise temporaneamente la motilità di una mano, lo costrinsero ad abbandonare la musica e a tornare in patria.
Nel 1880 fu uno dei fondatori, insieme con il poeta Gabriele D’Annunzio, il pittore Francesco Paolo Michetti, il musicista Francesco Paolo Tosti e lo scultore Costantino Barbella, del famoso “Cenacolo Michettiano” di Francavilla al Mare.
Il 5 novembre 1883 ottenne, dalla Presidenza del Reale Istituto di Belle Arti di Napoli, la patente d’abilitazione all’insegnamento di disegno nelle scuole tecniche normali e magistrali.
Gli anni che andarono dal 1883 al 1886 furono decisivi per lui. Nel 1883, infatti, abbandonò la musica e la pittura per ritirarsi a Città Sant’Angelo dove si dedicò all’agricoltura. In tale campo fu un esperto sia per l’impianto dei frutteti nei poderi familiari, sia per l’allevamento di pulcini mediante una incubatrice di sua invenzione, della quale dovette fare varie repliche per soddisfare le richieste di agricoltori interessati alla pollicoltura.
Egli meritò il plauso del professor Patriarca di Firenze per la ben riuscita coltura delle pesche della varietà Amsden.
Il 1885 vide l’artista De Cecco dividersi tra l’attività di illustratore di riviste, come avevano fatto prima di lui Quintilio Michetti ed Alfonso Muzii, e l’ insegnamento.
L’8 settembre 1886 sposò Margherita Di Battista, un’avvenente ragazza angolana; la cerimonia avvenne a Villa Cipresso di Città Sant’Angelo, gli amici Francesco Paolo Michetti e Costantino Barbella furono i testimoni di F.P.Michetti, ritratto di Paolo nozze. De Cecco 1883 Nell’ottobre 1886 si recò con la famiglia a Messina, dove aveva ottenuto la cattedra di disegno alle Scuole Tecniche. Rimase in quella città sino al novembre 1894, quando, a causa della malattia e della morte della figlia Faustina, tornò in Abruzzo.
A gennaio del 1895 ripartì per Messina ma, avendo ormai deciso di lasciare quella città, insistette per essere trasferito. Finalmente nel 1897 ottenne la cattedra di disegno alle Scuole Tecniche di Città Sant’Angelo, dove insegnò sino al 1904. Nel 1905 chiese ed ottenne il trasferimento a La Spezia dove era già stato, nel giugno 1903, in commissione di esame e si era trovato bene. In Liguria realizzò il suo capolavoro, “La foce del fiume Pescara”, in cui si abbandona alla malinconia del ricordo. L’eccezionale paesaggio, firmato e datato 1905, evoca mirabilmente i luoghi in cui si svolse anche l’infanzia di Gabriele d’Annunzio.
Lì rimase per oltre dieci anni, sino al 1916, abitando in Via Dei Mille numero 10 e coltivando, oltre alla pittura, anche l’incisione, altro campo in cui si distinse ad alti livelli. Negli anni in cui visse a La Spezia partecipò a varie esposizioni nelle città di Barcellona, Amsterdam, Milano, Torino, Venezia, Roma e Napoli, conseguendo dovunque un notevole successo.
Paolo De Cecco dipinse anche intensi ritratti di una straordinaria sensibilità che raffigurano la giovane amatissima moglie Margherita e Aurelia Terzini, madre di Francesco Paolo Michetti, e altri personaggi del suo tempo tra cui Matilde Serao.
I colpi di luce, le ombre magistrali che torniscono i volti con lievi pennellate mostrano la statura elevata di questo grande maestro abruzzese che dovrebbe essere maggiormente conosciuto e valorizzato.(MANCINELLI).
Si cimentò anche nelle acqueforti, dove mostrò doti di robusta originalità e di sicura maestria, come si rileva nelle sue opere conservate in pinacoteche e in raccolte private di Barcellona, Monaco di Baviera, Lipsia, Madrid, Londra, Milano, Bologna e Pescara.
Nel 1916, dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, si ritirò a Napoli, in Via Giuliani 22, dove si spense il 19 novembre 1922.
Le sue spoglie mortali furono tumulate nel cimitero monumentale di Poggioreale a Napoli, nel sepolcreto dei professori di belle arti, appartenente alla Reale Arciconfraternita dei Santi Anna e Luca, tra la cappella di Domenico Morelli e quella dell’architetto Barnabò.
La sua tomba fu sistemata in un loculo sotterraneo, chiuso da una grata di ferro, dal quale si accede alle tombe dei fratelli Palizzi e di altre personalità artistiche, tutte appartenenti alla scuola pittorica napoletana.