
Nel 1239 Federico II fa distruggere Città Sant’Angelo
In breve:
Nel pieno del conflitto tra Papato e Impero —tra guelfi e ghibellini— Federico II colpisce Città Sant’Angelo. Ritenuta allineata ai guelfi loretani e in violazione del Liber Augustalis, nell’autunno 1239 il castrum viene assaltato dal giustiziere Boamondo Pissono: mura a terra, case in fiamme, impiccagioni e dispersione degli abitanti.
Il 14 dicembre Federico ordina la desolazione perpetua; il 13 marzo 1240 concede il rientro, ma divisi in tre casali.
Il contesto storico
All’inizio del Duecento l’Abruzzo “ultra Piscariam”, e quindi Città Sant’Angelo, era la punta settentrionale del Regno di Sicilia governato da Federico II di Svevia: imperatore, re, riformatore energico e accentratore. Nel suo sistema, le cariche pubbliche erano concesse dall’alto; chi provava ad auto-nominarsi podestà o rettore violava la legge del regno e andava incontro a pene esemplari. Non era un modo di dire: il Liber Augustalis (1231) proibiva espressamente la creazione di magistrature locali senza investitura regia, e prevedeva per i trasgressori la distruzione del luogo, la dispersione perpetua degli abitanti e la pena di morte per chi avesse accettato l’incarico.
Su questo sfondo, nella fascia collinare tra Loreto Aprutino e il mare, Città Sant’Angelo era un castrum—“Castrum quod dicitur Civitas Sancti Angeli”—legato da antico rapporto feudale ai conti di Loreto. A guidare la casata nel 1239 era Berardo II di Loreto, figura di primo piano nelle vicende politiche locali: le fonti feudali e la genealogia loretana inquadrano bene il legame del casato con Sant’Angelo e i centri vicini.
Guelfi e ghibellini
Nel medesimo decennio, tutta l’Italia oscillava tra parte imperiale (ghibellina) e parte papale (guelfa). La frattura si accese definitivamente sotto Federico II, quando l’opposizione tra Papato e Impero si fece frontale: “ghibellino” divenne sinonimo di imperiale; “guelfo” di partigiano del papa.
Sul piano internazionale pesava anche la partita, mai davvero chiusa, della crociata: Gregorio IX scomunicò Federico nel 1227, lo assolse nel 1230 e tornò a scomunicarlo il 20 marzo 1239. Nelle sue lettere sul fallimento dell’impresa in Terrasanta ricorrono i “crocesegnati”—i crociati—e argomenti usati per screditare l’imperatore; un clima che alimentò la polarizzazione anche in Abruzzo.
Dentro questo quadro, Città Sant’Angelo risulta allineata con la parte guelfa e con i conti di Loreto. La ricostruzione storiografica che mette in relazione i centri dell’“ultra Piscariam” con Berardo II mostra Sant’Angelo come rocca fedele al conte e schierata contro l’imperatore.
Perché Federico II colpì Città Sant’Angelo
La motivazione formale che autorizzò la repressione fu giuridica: applicazione della costituzione del Liber Augustalis che puniva l’usurpazione delle cariche pubbliche. È lo stesso tipo di pena che, parola per parola, ritroviamo nella risposta di Federico II al suo funzionario in Abruzzo.
Ma la congiuntura politica contava: dopo la nuova scomunica del 1239, in territori percepiti come filo-papali e legati ai Loretani, l’impero volle dare un segnale durissimo.
L’irruzione del 1239 e il “perpetuo deserto”
Fu Boamondo Pissono, giustiziere d’Abruzzo (il massimo rappresentante regio nel giustizierato), a eseguire l’ordine. Nell’autunno del 1239 piombò sul Castrum quod dicitur Civitas Sancti Angeli e applicò alla lettera le pene previste: abbatté le mura, diede alle fiamme osterie e case, impiccò alcuni cittadini, ne mutilò altri, quindi bandì e disperse i superstiti. Non risulta nessun processo: fu una spedizione punitiva rapida, “esemplare”.
La scena finale è consegnata a una lettera imperiale: il 14 dicembre 1239, da Borgo Sarzana, Federico II scrisse a Pissono approvando “come dovuto” ogni passaggio dell’operazione e ordinando che “il luogo resti perpetuamente desolato” (perpetuo desoletur). È la formula che sancisce la distruzione ufficiale di Città Sant’Angelo.
Intanto Berardo II di Loreto, fuggito nell’immediato, fu catturato e condannato a morte entro la fine di quello stesso anno: la cronaca loretana e la sintesi di Gallerati collocano l’esecuzione nel dicembre 1239, suggellando la disfatta del fronte guelfo locale.
Dopo il rogo: profughi e un ritorno controllato (1240)
L’inverno 1239-1240 fu l’inverno dei profughi: gli angelesi dispersi cercarono ospitalità nei centri vicini, spesso respinti. Poi, tre mesi dopo l’ordine di desolazione, arrivò una svolta. Il 13 marzo 1240, da Viterbo, Federico II rispose di nuovo a Pissono: autorizzò il reinsediamento degli uomini di Sant’Angelo nel loro territorio, ma “divisi in tre casali”, così da impedirne la ricostituzione in un’unica rocca. È un ritorno controllato, che chiude—senza cancellarla—la pagina più cruenta della nostra storia medievale.
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Fonti principali:
Carlo Gallerati, Federico II e Città Sant’Angelo (Tinari, 1995), con testi e analisi delle due lettere imperiali (14 dicembre 1239; 13 marzo 1240), del Liber Augustalis e del quadro politico tra Papato e Impero.
