“Storia della Massoneria in Abruzzo”
di Elso Simone Serpentini e Loris Di Giovanni
Artemia Nova Editrice (25 marzo 2019)
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1. Massoneria e Carboneria
Già sul finire dell’epoca napoleonica iniziò in Abruzzo la diffusione della Carboneria, i cui simboli si cominciano a trovare in calce ad alcuni documenti, soprattutto diplomi di Maestro. Si tratta di segnature carbonare in codice, alcune delle quali precedono le firme (tre o cinque puntini tra due linee parallele, o cinque puntini tra due linee parallele), altre le seguono (tre puntini a triangolo). Le segnature indicavano che i sottoscrittori erano fratelli o anche buoni cugini. I tre punti tra due linee indicano il grado di apprendista carbonaro, i cinque punti quello di maestro carbonaro.
Le segnature in questione si ritrovano non solo nei diversi brevetti di Logge massoniche del Grande Oriente di Napoli, ma soprattutto nei brevetti di vendite carbonare successivamente al 1810. È quindi evidente l’uso delle doppie firme carbonare e massoniche negli stessi documenti.
Tra le diverse Logge massoniche di ispirazione carbonara esistenti in Abruzzo nei primi anni del 1800 ne figurava una a Teramo, la R. L. Figli del Gran Sasso d’Italia, fondata il 28 settembre 5811 Anno di Vera Luce, (1811). [1]
Un’altra ne figurava a Città Sant’Angelo (che allora faceva parte della provincia di Teramo), la Scuola di Salomone, fondata il 28 luglio 5809 Anno di Vera Luce (1809). Entrambe vengono riportate nell’elenco delle Logge del 1813 ritrovato nella corte del Barone Orazio de Attelis, che nel 1820 fu uno degli estensori degli Statuti generali del Rito Scozzese, e pubblicato da Ulisse Bacci.
Non è possibile stabilire con precisione quali fossero i rapporti tra gli affiliati a queste Logge e gli aderenti alla Carboneria, ma è certo che erano moltissimi i casi di doppia appartenenza alla Carboneria e alla Massoneria. D’altro canto, alcuni autori avanzano la cifra colossale di 642.000 (seicentoquarantaduemila) affiliati alla Carboneria italiana nel 1819.
È evidente che non tutti i carbonari erano massoni, ma è certo che la Carboneria sorse dal seno della Massoneria, con riti, simboli e formule pressoché uguali. [2] Se ancora oggi si studiano rapporti tra Carbonari e Massoneria, nell’intento di chiarirli sia sul piano storico che su quello culturale, la derivazione dei primi dai secondi è dato acquisito.
Scrive Beniamino Costantini: “Come è noto la Carboneria sorse nel seno della Massoneria, con riti, simboli e formule pressoché uguali; e v’ha chi sostiene che avesse origine nei monti Abruzzesi. La Carboneria prese nome dal ‘carbone’ il quale purifica l’aria e, quando arde nelle abitazioni, ne allontana le bestie feroci. ‘Pulire le bestie dai lupi’ significava, infatti, per i nostri carbonari liberare la patria da stranieri e da despoti.” [3]
Anche Giovanni Pansa teorizza una derivazione della Carboneria dalla Massoneria, scrivendo: “il seme sparso durante l’occupazione francese di Giuseppe Napoleone non fu però seme infecondo, si radicò in Abruzzo la setta della Carboneria, ritenuta generalmente una riforma del massonismo, allo scopo di educare il popolo e di distruggere l’influenza del regime borbonico, che mirò poi al riscatto nazionale ed ebbe la virtù di non cedere alle lusinghe dei napoleonidi, che ne volevano trar vantaggio, e la forza e la costanza di resistere alla violenza di Antonio Capece Minutolo, principe di Canosa (1763-1838), ministro di polizia di Ferdinando I delle Due Sicilie, che voleva annientarla”. [4] Secondo Beniamino Costantini le vendite carbonare erano in Abruzzo numerosissime, più nel teramano, meno nel chietino e meno ancora nell’aquilano.
2. Pierre-Joseph Briot
L’importanza dei cosiddetti “documenti di Lanciano”, così sono ormai noti da una mostra [5] tenuta nel 2005 dal Servizio Biblioteca del Grande Oriente d’Italia al Museo Garibaldino in occasione dei 200 anni dalla fondazione dell’Ordine, se da una parte è rinvenibile nelle doppie firme carbonare e massoniche e nella prima manifestazione del Rito di Misraim, dall’altra è evidenziata dalla presenza accertata dell’Intendente per l’Abruzzo Citeriore e primo propagatore della Carboneria in Italia, il francese Pierre Joseph Briot. [6]
Era un avvocato della Franca-Contea, nato il 17 aprile 1771 ad Orchamps Vennes, nel Dipartimento del Jura, e personaggio politico importante. Nell’arco di 56 anni di vita si concluse la sua esistenza terrena, [7] travagliata e ricca di imprevisti, legata ai sussulti più radicali che lo videro spettatore dapprima e protagonista poi degli avvenimenti che vanno dalle prime scintille della Rivoluzione Francese alla caduta di Napoleone ed alla fine del regno murattiano di Napoli. Fu massone nelle Logge di Bésançon, ma anche Buon Cugino Carbonaro del rito di Alexandre-la Confiance, molto strutturato nell’est della Francia, dal Giura alla Foresta Nera. Risulta anche che fu uno dei fondatori del giacobino Club des amis de la libertè.
Convinto assertore dei valori della Rivoluzione Francese, nel 1792 si arruolò volontario nell’esercito per combattere contro i prussiani, e già dall’anno successivo, nel novembre 1793, entrò nelle file della Carboneria, entrando a far parte della società segreta dei Buoni Cugini. Fu iniziato a Gray, ove esisteva una “Chambre d’Honnneur” di detta società.
Tra l’8 settembre e il 20 ottobre, il Briot incorse in una singolare avventura. A parlarcene nel sua “Storia pittoresca della Massoneria e delle società segrete” è lo scrittore di fatti massonici, massone anch’egli, Clavel, il quale scrive: “Fatto prigioniero degli austriaci nella foresta nera egli fece i “segni” di buon cugino e tosto venne liberato dai suoi assalitori. Quest’ultimi lo posero sotto la loro fraterna protezione e lo accompagnarono fino agli avamposti”.
Ad alcuni “segni” tipicamente carbonari da lui fatti, si dovette la liberazione dagli austriaci, che lo avevano catturato. Nel 1797 divenne Accusatore pubblico nel Tribunale di Doubs e l’anno successivo membro del Consiglio dei Cinquecento, quando era già conosciuto per le sue prese di posizione in favore di una Repubblica in Italia.
Dopo il colpo di Stato del 18 Brumaio (9 novembre 1799) entrò nei ranghi dell’opposizione repubblicana, che mirava a frenare la formazione di un potere personale da parte di Napoleone Bonaparte. Dal 1800 al 1801, profittando di certe alte protezioni, fu nominato Segretario Generale della prefettura del Doubs a Bésançon, la sua città natale, nella quale il suo attivismo politico si amplificò.
Divenuto fastidioso. fu “diplomaticamente esiliato” con la nomina di Commissario Generale del Governo all’Isola d’Elba fra il 1802 e il 1803.
A Portoferraio ebbe rapporti con i massoni e, quando essi fondarono il 2 giugno 1803 una Loggia, ne divenne l’Oratore. Fu lui stesso, che all’epoca era già Rosa Croce, a proporne il titolo distintivo: Loge des Amis de l’Honneur Francais.
Dal 1804 al 1806 si perdono le sue tracce, sì che diversi autori suggeriscono che egli proprio in questo periodo abbia cominciato alcune attività clandestine. Altri avanzano l’ipotesi, non priva di fondamento pur se non documentata, che egli abbia avuto allora dei contatti serrati con Filippo Buonarroti (allora esiliato a Sospello, a nord di Nizza), che preparava molto discretamente la formazione di una società segreta italiana con finalità rivoluzionarie, la Società dei Raggi. Lo stesso Buonarroti scrive d’altronde: “Per quanto fossi sorvegliato dalla polizia, non persi mai di vista lo scopo sacro che mi ero posto abbandonando Firenze. Profittando dunque della vicinanza del Piemonte, lavoravo più che mai a stabilire delle comunicazioni sicure ed attive fra repubblicani delle differenti province di Francia e di quelle d’Italia. I miei sforzi furono coronati da successo; la nostra società segreta si estese, si propagò in tutte le classi della nazione e perfino nell’Esercito, dove noi contavamo ancora un gran numero di partigiani della Costituzione del ’93, delusi dell’usurpazione di Bonaparte.
Il progetto del Carbonarismo sembra proprio esser stato messo in piedi in quei momenti, ed è probabile che una sinergia Buonarroti – Briot ne sia stato uno dei fattori determinanti fra il 1804 e il 1806. col Buonarroti teorico in esilio che lo adattava alle specificità del problema italiano e col Briot operatore sul campo grazie alle larghe protezioni di cui godeva.
Briot, arrivato nel 1806 a Chieti quale Intendente degli Abruzzi sotto l’autorità, che risultò brevissima, di Giuseppe Bonaparte, contribuì al tentativo di integrare l’élite culturale abruzzese e italiana con i francesi, cercando di far apparire questi ultimi non come conquistatori, ma come fratelli e liberatori. Fondò un giornale provinciale che venne però immediatamente soppresso perché considerato “troppo liberale”. Fu in questo periodo che vennero fondate in Abruzzo la Concorde all’Oriente. di Lanciano, gli Amici della Virtù all’Oriente di Pescara, la Parfait Union all’Oriente di Chieti.
Sia la città di Chieti che quella di Lanciano gli tributarono onori e gli conferirono addirittura una medaglia d’argento per le sue benemerenze cittadine. Sicuramente è da Chieti che il Briot inizia a propagare i primi semi della Carboneria, all’inizio diffusa solo tra i soldati, tra i quali molti erano massoni, poi tra la gente di cultura e non. Si trattò di un Carbonarismo rivoluzionario ed a priori repubblicano, che si sviluppò in una maniera tanto fulminea che Briot ne perse il controllo, malgrado la simpatia che la sua persona suscitava fra le popolazioni rurali, delle quali si occupava con bontà e competenza. L’apporto fornito da Briot alla diffusione della Carboneria, sia pure in modo occulto, continuò anche in Calabria, quando nel 1807 fu destinato a Cosenza, dove, immediatamente dopo il suo arrivo, si accese un nuovo focolaio carbonaro, con lo stesso successo. La coincidenza fra gli spostamenti di Briot e la nascita di focolai carbonari nell’Italia del Sud sembra poter dimostrare la sua incondizionata partecipazione alla diffusione internazionale di un carbonarismo repubblicano.
Nel “Quadro delle LL: Regolari Dipendenti dal G.O. di Napoli” [8] scorrendo l’indice delle Logge si scorge di nuovo il nome di Briot, quale Deputato della L:: Gioacchino I° di Cosenza, segno inequivocabile che l’attività massonica era usata dal francese per i primi contatti sul posto e come “cuneo” alla propagazione delle idee carbonare. La stessa attività latomica del francese è confermata da una lettera che egli indirizza alla moglie, residente a Napoli. Vi si legge: “Envoi moi mes cahiers de franc-maçonenerie”.
Nel 1809 venne nominato Consigliere di Stato di Gioacchino Murata Napoli. Questa alleanza “Briot-Murat” pone un interrogativo. Murat, verosimilmente informato su Briot, non poteva ignorarne le tendenze repubblicane poco favorevoli ai Bonaparte, ma conosceva pure il suo ruolo di fondatore della Carboneria italiana, che il Re avrebbe perseguitato severamente? D’altra parte Briot, da quel buon carbonaro occulto che era, accettò volentieri un incarico che gli permetteva l’accesso a numerose informazioni sensibili, e sembra aver giocato un ruolo importante nella diffusione del Carbonarismo fra le armate napoletane nel 1812, durante l’assenza di Murat impegnato nella campagna di Russia. Ma, quando il Reritornò a Napoli nel 1813, gli rassegnò le sue dimissioni ritenendo che la politica opportunista di Murat lasciasse insoddisfatte le legittime
aspirazion popolari.
Nel gettare le fondamenta del carbonarismo italiano, Briot fu aiutato dal fatto che questo tipo di Massoneria non ricadeva sotto i colpi precisi delle scomuniche romane del 1738 e del 1751, le quali non si riferivano che alle “conventicole” urbane. Questo movimento prese immediatamente una colorazione politica molto netta, battendosi apertamente contro ogni tentativo di restaurazione dei Borboni a Napoli ed esprimendo un’opposizione altrettanto netta all’espansionismo austriaco. Ma era anche intrisa altrettanto profondamente di repubblicanesimo antibonapartista. Tutto ciò che impediva l’unità nazionale degli Stati italiani era combattuto dai carbonari, che coniugavano allegramente le posizioni politiche più disparate, tutte subordinate ad un obiettivo primario: la liberazione dell’Italia dal giogo di tutte le potenze straniere.
Murat preferì impiantare a Napoli una Massoneria del tipo del Grande Oriente di Francia, a detrimento delle vendite carbonare che vieto e perseguito, come se avesse paura del nazionalismo locale. Il risentimento “anti-francese” fra i carbonari napoletani fu, dunque, legittimo.
All’epoca del declino dell’Impero napoleonico (1813-1814) e della perdita del trono di Napoli da parte di Gioacchino Murat (1815), Briot, che nel frattempo aveva aderito dal 1810 alla Massoneria Egiziana dell’antico e primitivo rito di Memphis Misraim (M.E.A.P.R.M.M.), divenendone “Gran Maestro ad vitam 90°” e in effetti restando ad essa fedele fino al termine della sua vita, ritornò in Francia, a Bésançon, dove fondò la Loggia misraimitica dei Settatori della Verità. Nel 1820 diventò direttore della compagnia di assicurazioni “La Phénix” i cui impiegati erano praticamente tutti partigiani fedeli dell’imperatore Napoleone, oppure repubblicani occulti. Nel 1817 era diventato il consigliere segreto del Ministro di Polizia. il duca Decazes, anch’egli membro del Misraim, e mantenne l’incarico fino al 1822, quando fu indirettamente coinvolto nel processo per attività carbonare dei “quattro sergenti” della Rochelle.
Un rapporto confidenziale del 1825 attesta: “Il signor Briot è un uomo pericolosissimo, per l’estremismo delle sue opinioni e per l’influenza che la sua posizione gli permette di esercitare. Da molto tempo non cessa di dedicarsi a macchinare intrighi rivoluzionari, e nel 1822 aveva fatto dei principali commessi de “La Phoénix” altrettanti agenti d’insurrezione. Ogni ispettore di questa compagnia era incaricato di diffondere nei diversi dipartimenti che gli erano assegnati le dottrine liberali, e di organizzarvi delle Vendite di Carbonari”.
Malgrado questa sorveglianza di polizia, Briot fu capace di non prestare il fianco ad attacchi diretti e mori senza aver mai subito grossi problemi il 18 Marzo 1827 ad Auteil. Ebbe un successore, Carlo Antonio Testa (1782-1848), membro del Misraim e Carbonaro napoletano al suo fianco da prima del 1814.
3. La Massoneria abruzzese in un “quadro” del 1813
Il Grande Oriente di Napoli emanò il giorno XIX del mese IX dell’Anno di Vera Luce 5813 (1813) una circolare indirizzata a tutte le Logge e ai capitoli regolari dipendenti, nella quale si ricordavano le norme procedurali ed organizzative del Grande Oriente e si trasmetteva il “Quadro delle LL:: Regolari dipendenti dal G:. O:. di Napoli per l’Anno Massonico 1813”. Il “quadro” è una miniera di nomi e informazioni che permettono di collocare Logge e venerabili di cui si avevano solo frammentarie notizie, legate, per lo più, a studi settoriali.
Le Logge abruzzesi risultano complessivamente nove. A Chieti v’era la Perfetta Unione, di Rito Riformato, il cui Venerabile era Domenico Castiglione, mentre il Deputato di Loggia era Sabino Belli. Risulta come Loggia fondatrice del Grande Oriente. Nel corso di uno studio sulla sfragistica carbonara abruzzese, gli autori si sono imbattuti in due sigilli attribuiti erroneamente a “vendite”, ma effigianti in realtà il timbro della Parfaite Union teatina e quello della R.L. La Filantropia all’Oriente di Penne. Di quest’ultima il Deputato di Loggia era Pasquale Marotta.
A Lanciano c’era La Concorde, di cui ci siamo diffusamente occupati nei capitoli precedenti, che, pur risultando anch’essa come Loggia fondatrice del Grande Oriente, non comunicava il nome del Maestro Venerabile, ma solo quello del Deputato: il FR:. Luigi Caravoglia.
A Pescara esisteva la Loggia Amici Riuniti, anch’essa fondatrice, aderente al rito riformato, ma anch’essa non indicava né il Venerabile né il Deputato, cosi come la Loggia teramana Figli del Gran Sasso. di Teramo, di cui veniva riportata solo la data della costituzione: 28 settembre 5811 A:. di V:. L:. (1811).
A Città Sant’Angelo operava la Loggia Scuola di Salomone, fondata il 28 luglio 5809 di V.: L.: (1809) e ad Ortona la Alleanza, fondata il 27 febbraio 5813 di V:. L:. (1813). Di quest’ultima erano rispettivamente Venerabile Savatore Marengo e Deputato di Loggia Brancia.
A Sulmona veniva certificata l’attività latomistica della Loggia Perfetta Amicizia, di rito riformato, la cui data di fondazione era il 27 febbraio 5813 di V.: L.: (1813). Venerabile era Antonio Siciliani e Deputato Ottavio Tarsia.
Anche nel piccolo comune di Guardiagrele, nell’entroterra teatino, v’era un’Officina dal titolo distintivo Montanara. Aveva una peculiarità posseduta dalla sola Loggia di Ortona in Abruzzo: lavorava con il Rito Scozzese Antico e Accettato.
Nel “Quadro delle Logge in istanza di costituzione presso il Grande oriente di Napoli” compare anche la Loggia Amici della Virtù, di rito riformato all’Oriente dell’Aquila, costituita il 10 novembre 5813 di V.: L.: (1813).
La Loggia aquilana non trasmetteva il nome del Venerabile, ma solo quello del Deputato: Nicola De Tommasi.
Nel “Quadro delle LL:: Regolari dipendenti dal G:. O:. di Napoli per l’Anno Massonico 1813” venivano riportati solo due capitoli dei Corpi Rituali in Abruzzo, entrambi di rito riformato.
A Chieti v’era la Sincera Fraternità, con presidente Luigi Amato e con Deputato il Leroux, intimo amico e collaboratore del Briot. La firma di quest’ultimo, si può osservare nel secondo e nel terzo dei documenti di Lanciano analizzati nel secondo capitolo. Nel “diploma Renzetti” antepone i 5 puntini tra due linee parallele, segno distintivo del grado di maestro carbonaro, nel terzo documento si firma, invece, R+C, che sta per Principe Rosacroce, attuale 18° grado del rito scozzese antico e accettato.
L’altro capitolo del Rito era a Lanciano, costituito, come apprendiamo dall’elenco del Grande Oriente di Napoli, il 15 novembre 5811 di V.: L.: (1811) e presieduto dal francese Oduard, membro della Carboneria col grado di apprendista.
4. La sollevazione carbonara del 1814
In un rapporto segreto della polizia borbonica del 1823, conservato nell’Archivio di Stato di Napoli, si legge: “Nel 1813 furono aperte vendite carbonare nei principali paesi della Prov.a del 1 Apr. ult. alle quali si aggregarono diversi massoni dache le poche Logge che vi esistevano furono generalmente chiuse. Il maggior numero dei carbonari aveano per oggetto di richiamare al Trono R.le l’attuale augusto monarca, il numero minore tendeva a stabilire un governo repubblicano.” [9]
Nel 1814 uno dei centri più attivi della Carboneria teramana era Castiglione Messer Raimondo, dove esisteva la vendita Auspici della Fortuna, diretta dall’agrimensore Domenicantonio Toro, che fu anche investito della carica di Gran Maestro della Carboneria nella Chiesa di San Rocco, dopo un solenne “Te deum”.
Nel citato rapporto segreto della polizia borbonica si legge: “Negli ultimi giorni di marzo del 1814 Penne, Civita S. Angelo, e qualche altro paese del Circondario di Bisenti nel suddetto Distretto inalberarono lo stendardo carbonaro; ma furono ben tosto repressi dalle armi del Governo sotto l’occupazione militare, via più che non si avevano la corrispondenza di altri paesi, e le vendite carbonare furono generalmente chiuse.” [10]
La sollevazione ebbe inizio il 19 marzo 1814, quando i carbonari abruzzesi si riunirono segretamente a Castellamare per decidere le modalità dell’insurrezione antifrancese, che doveva scoppiare a Pescara il 25 marzo, in occasione della Festa dell’Assunta. La rivolta però falli per il tradimento di un carbonaro di Pescara.
L’insurrezione scoppiò egualmente il 27 marzo in varie città, tra cui Città S. Angelo, Penne, Castiglione, Penna S. Andrea e Teramo. Il Re di Napoli Gioacchino Murat, dal suo quartiere generale di Bologna diramò ordini con i quali prescriveva le maniere forti per battere i rivoltosi. Fu costituito un Governo provvisorio a Città Sant’Angelo, ma i tentativi di coinvolgere nella rivolta altre città falli e cosi il 15 aprile i carbonari restituirono il potere alle autorità regie.
A Penne, sede di distretto, la decisione fu contestata dalla Legione della morte costituita da una quarantina di carbonari decisi a resistere sino alla fine Il generale Luigi Amato, Comandante della Piazza di Chieti, usò clemenza verso i rivoltosi e venne per questo sostituito dal generale Charles-Louis de Montigny.
I capi della rivolta si diedero alla clandestinità, ma vennero quasi tutti catturati e giustiziati: il medico Filippo La Noce e il canonico Domenico Marulli, che avevano fatto parte del Governo provvisorio, e il capitano Bernardo De Michaelis, tutti e tre di Penna S. Andrea. Domenicantonio Toro si consegnò e fu incarcerato, liberato nel 1815 dopo la restaurazione borbonica. Morirà nel 1865 a 98 anni di età.
Il giudice Pasquale Albi fu messo ai ferri, mentre a Teramo furono condannati a morte con la fucilazione Carlo Zicoli. Geremia Nicolini. di Valle San Giovanni, e Ilario Vitelli di Montorio, tutti gendarmi del Re.
Moltissimi carbonari furono rinchiusi nel carcere di Chieti, mentre altri riuscirono ad evadere rifugiandosi nel territorio dello Stato Pontificio, fra cui il pennese Domenico De Caesaris.
5. La restaurazione borbonica
Il recepimento delle norme stabilite al Congresso di Vienna, in particolare dopo il Trattato di Casalanza, firmato presso Capua il 20 maggio 1815, consenti a Ferdinando di riprendere possesso, il 7 giugno 1815, del Regno di Napoli. Il 15 luglio 1815 Napoleone si arrese agli inglesi salendo a bordo della nave HMS Bellerophon. Segui il suo esilio nell’Isola di Sant’Elena. Era finita l’epopea napoleonica e si avviava di nuovo il processo di restaurazione. Il Grande Oriente di Napoli ed il Supremo Consiglio di Rito Scozzese Antico e Accettato si sciolsero mentre si diffondeva sempre più la Carboneria di tendenza costituzionale ed antifrancese che, dal 1816 in poi, elevò progressivamente i suoi gradi da due a nove.
Per combattere la Carboneria, che si era infiltrata in tutti gli ambienti, anche in quelli ecclesiastici e militari, il governo borbonico ricorse a tutti i mezzi, promuovendo anche la costituzione di una setta segreta filo-borbonica, detta dei Calderari, fondata fin dal 1813 dal principe di Canosa. Scrive Beniamino Costantini: “La Carboneria sorta con nobili scopi, presto degenerò e le vendite ‘inquinarono di spie e di facinorosi. Vi fu anzi un momento, in cui anche Ferdinando IV si fece carbonaro, poi Francesco I di Borbone; però con l’unico intento di apportarvi il disordine e lo sfacelo. E difatti. accresciuto in modo straordinario il numero degli affiliati, furono stampati i catechismi dell’associazione, divulgati i misteri e si giunse persino a vendere i diplomi al migliore offerente. Ma a paralizzare ancor più l’azione della Carboneria, fu dalla moglie di Ferdinando, Maria Carolina, promossa la setta dei “Calderari”. detta anche la “Caroliniana”. di cui fu organizzatore e capo supremo il principe di Canosa”. [11]
Nel citato rapporto segreto del 1823 della polizia borbonica si legge: “Nel 1815 dopo il felice ritorno di S.M. nel Regno si formarono in diversi paesi della Prov.a delle società cosidette dei caldarali spargendosi voci che fossero istituite e dirette da ragguardevole Personaggio, e che l’oggetto ne fosse di massacrare e distruggere i massoni ed i carbonari. Ouesti che non più finivano in vendita onde provvedere opportunamente alla loro salvezza si occuparono indagando gli andamenti dei caldarali, ed a misura che il numero di costoro andavano aumentando, cresceva la vigilanza dei carbonari, non senza di riunirsi in seduta.” [12]
Nel fervore di una ripresa dell’attività libero-muratoria e carbonara sorprende che un confidente della polizia borbonica scrivesse che i massoni erano tanto inoperosi che la Massoneria poteva considerarsi ormai un “venerabile avanzo di antichità per i suoi ammiratori”. [13]
6. I moti del 1820-21
Nei moti del 1820 e 1821 la Carboneria teramana ebbe un ruolo centrale, grazie ad una diffusione capillare anche nel campo ecclesiastico. In un documento del Vescovo di Penne, che allora faceva parte della provincia di Teramo, si legge: “su dodici canonici solo uno non era con certezza carbonaro: degli altri undici, due sospetti e nove sicuramente affiliati”.
Nel citato rapporto segreto della polizia borbonica il primo sorgere del moto in provincia di Teramo e le fasi successive vengono riferite dettagliatamente Infatti vi si legge: “Nei primi giorni di Luglio del 1820 quando non si attendeva si vide affisso in Teramo un manifesto in nome di S.M. col quale si prometteva un Governo secondo la Costituzione di Spagna del 1812. Fu fatto pubblicare dall’Intendente, allora Sig. Conte Gaetani, non senza sua riluttanza vinta dalle istanze di coloro che più gli accusavano. S’ignorava presso che generalmente nella Prova il tenore di essa costituzione.” [14]
Il rapporto segreto del 1823 della polizia borbonica continua dicendo che il popolo aveva espresso nei confronti della sollevazione “più ammirazione e sorpresa che piacere, essendo cosa assolutamente inaspettata da molti” Pochi giorni dopo, era stato pubblicato un altro manifesto con il quale il Re avvisava la popolazione di aver già adottato la costituzione, con qualche
modificazione rispetto a quella che era stata richiesta. Era stata applaudita come una emanazione della volontà del Re.
“Posteriormente” continuava il rapporto “si seppe che a ciò avesse molto influito la Carboneria colla mano de’ militari, e che in Napoli si fossero riaperte le vendite carbonare. Allora fu che pochi giovinastri nella suddetta Prov.a si industriarono di anche riaprirle, e di moltiplicarle via più. Si opinava che con questo mezzo venisse ad abbassarsi ed a distruggersi la società caldaraia; e difatti si vide che molti calderari si mostravano impegnatissimi di farsi ascrivere alla Carboneria,e vi furono ascritti. Fu richiamato in Napoli l’Intendente Gaetani a causa dei carbonari, per quanto se ne disse, perchè si era dimostrato riluttante di far pubblicare il primo manifesto in nome di S.M. e si assicurava che fosse aderente ai Calderari. Gli fu sostituito il Sovrintendente di Penne Sig. Durini: nell’esercizio di costui d’ordine del Governo si stabili la Giunta preparatoria nella Provincia, per la elezione de’ deputati al Parlamento nazionale. Circa un mese dopo essendosi ordinato che il Durini si restituisse nella Sovrintendenza di Penne Egli col fatto si dismise ritirandosi in Chieti sua Patria.” [15] Il rapporto segreto precisa che, avvicinandosi la data delle elezioni, erano cominciati “gli intrighi de’ carbonari” per far eleggere “persone di loro fiducia”. Gli intrighi erano stati coronati dal pieno successo, perché “si nominarono per deputati al Parlamento quelli che essi volevano, e dai paesi furono nominati i Deputati Provinciali. Per Deputati al Parlamento furono nominati i Signori D. Melchiorre Delfico, l’ex abate celestino D. Michele Coletti, D. Michelangelo Castagna di Civita S. Angelo e per il Sig. Supplente D. Vincenzo Comi, il quale poi servi da Deputato ordinario, perché il sig. Delfico si trovo’ nominato anche dalla Provincia di Napoli. Per Deputati Provinciali furono nominati i Sig.ri D. Francesco dei Rospis, D. Bonaventura Sbraccia di Teramo, D. Gaetano Pretaroli di Atri, D. Pietro Di Adeschi di Pianella, D. Camillo Massei di Montorio, Can.co Simoni di Penne. Supplenti D. Giuseppantonio Massei e D. Giuseppantonio Catenacci di Teramo e D. Ippoliti di Ripa… , D. Francesco Arena di…
nominato Intendente dal Governo, questi al sig. Andrea Costantini di Teramo e seg .” [16]
Il rapporto della polizia borbonica forniva informazioni anche sull’attività successiva degli eletti, precisando che il canonico Simoni e Pietro adeschi non erano mai intervenuti alle sedute, Camillo Petrei vi aveva partecipato di rado, Catenacci, Massei Ippoliti avevano supplito in continuazione. Al sig. Durini era succeduto quale Intendente Nicola Lucenti, che si trovava in Napoli e prima del suo ritorno a Teramo, nel mese di novembre, aveva attraversato la provincia il generale Guglielmo Pepe, visitando le poche milizie che vi erano nella provincia Aveva ordinato che, in caso di necessità, le si accompagnassero con la forza, “e con via larga”. Giunto a Teramo, l’Intendente Lucenti, di concerto con il comandante militare della provincia, Domenico Forcella, si diede da fare con tutti i mezzi per “aumentare la Società carbonaria; e coloro che più gli accostavano si facevano un fregio anzi un dovere di spingere ad ascrivervisi le persone che meno il volevano e procuravano la moltiplicazione delle vendite in breve non vi era persona che volesse godere la percezione di late che non si industriasse di fondare una qualche vendita. La società carbonaria si era così tanto generalizzata che ben si poteva dire di doversi usare la lanterna di Diogene onde trovare chi non vi appartenesse.” [17]
Il rapporto della polizia borbonica continua descrivendo le modalità di comportamento dei carbonari e i mezzi a cui ricorrevano per non farsi riconoscere dai nemici, ma solo dagli altri affiliati: “Dove i carbonari, camminando per strade fuori dal Paese, incontravano persone da essi non conosciute si facevano porgere la mano onde dai segni conoscere se fossero o no carbonari e non dando i segni le malmenavano anche fisicamente e le chiamavano Lupi, e se dovevano varcare qualche fiume ed avessero avuto bisogno di aiuto e di guida i carbonari o non si prestavano, o prestandosi le lasciavano in mezzo del fiume. Si osservò di essersi stabilita nella Società in Teramo una Magistratura e formato benanche un codice penale, in cui l’omicidio in qualche circostanza veniva scusato, anzi permesso, e si diceva che ciò si era fatto ad imitazione delle altre Società esistenti in altre Provincie del Regno.” [18]
Nel febbraio del 1821, nel breve intervallo di libertà seguito ai moti del 1820, la Gran Loggia Simbolica del Grande Oriente delle Due Sicilie pubblicò a Napoli gli “Statuti Generali della Massoneria scozzese”, [19] di importanza fondamentale per la storia della ritualità massonica italiana perché hanno costituito la base dei regolamenti emanati successivamente dal 1859 in poi. Le loro fonti erano di sicuro state gli “Statuti Generali della Franca Massoneria in Italia”, stampati a Milano nel 1808.
7. La Vendita all’Ordone di Corropoli
Un documento rimasto a lungo inedito ci fa conoscere quanto fosse estesa nel teramano la rete delle vendite carbonare e a quali importanti personaggi facesse capo, prima di tutti l’Intendente Nicola Lucenti, che appena tornato a Teramo, ai primi di dicembre fu il punto di riferimento per tutti i carbonari Proprio all’Intendente Lucenti il 9 novembre 1820 indirizzava uno scritto Gaetano Cinzii, Gran Maestro della Vendita all’Ordone di Corropoli, il cui motto era, come risulta dal sigillo che compare sul biglietto stesso, Libertà o morte.
Nella missiva, che riportava come intestazione il consueto A.G.D.G.M.D.U e D.N.P.S.T e poi altre abbreviazioni massoniche, Cinzii, che si qualificava anche membro della I.(ntendenza) P.(rovinciale) e Ispettore del Cordone da S. Egidio a Colonnella, informava l’Intendente, facendo seguito ad un altro suo rapporto di due giorni prima, che Colonnella aveva provveduto alla copertura di quattro posti: Martinsicuro, Passo dell’ Avena, Casagreca e Cimiconi. Controguerra aveva provveduto alla copertura di altri cinque: Franceschini, Camajoni, Sbraccia, Cosenza e Commenda.
Il suo Ordone avrebbe dovuto provvedere alla copertura di un solo passo, proprio al centro del Cordone, ma “non avendo linea limitrofa” ed essendoci di fatto un vuoto nella linea di Controguerra, aveva fatto “piazzare” dai suoi i posti di Michelessi, Panichi, Malaspina e Ciaffo, dove aveva fatto risiedere il Capo al fine di raccogliere le notizie di tutto il Cordone, anche succedendo all’Oriente di Nereto, che in precedenza occupava quei passi.
Intanto Torano e S. Egidio restavano inoperosi, ma lui sarebbe tornato l’indomani a visitare il Cordone. Pregava però l’Intendente Lucenti di invitare il Gran Maestro di Controguerra a fornire olio e legna ai passi del suo territorio e di ordinare ai Gran Maestri di tutta la linea di porsi in attività e di riconoscere quale Ispettore del Cordone e perciò di tenerlo informato di ogni evento. [20]
Proprio l’Intendente Lucenti, con la collaborazione del Comandante Forcella, assunse il compito, di cui si erano fatti carico i carbonari, di costituire la Legione Provinciale dopo le Grandi Potenze avevano espresso la loro avversità alla concessione della costituzione da parte del del Re delle Due Sicilie.
Vennero dati ordini per la confezione di uniformi, giberne e per l’arruolamento, che venne forzato con minacce di fucilazione e ricorrendo anche a mezzi violenti, chiamando infermi, vecchi, ammogliati, impiegati e anche individui del tutto inabili al servizio militare. Vennero approvvigionati il Forte di Civitella del Tronto, Montorio, Bisenti. Alla mancanza di fucili si sopperi con l’ammasso di lance in grande quantità.
Nel citato rapporto segreto della polizia borbonica del 1823 si legge che venne dato incarico ad Andrea Costantini, capitano della Legione Provinciale e Gran Maestro della Vendita carbonara di Teramo, Presidente della Magistratura Carbonaria, [21] di recarsi nella vicina Marca di Ancona con il compito, non riuscito compiutamente, di indurre i residenti a sollevarsi e a fornire arruolati. Altri legionari, militi e soldati di linea, in più migliaia, furono diretti in Ascoli sotto il comando del Generale Verdina” [22]
Michelangelo Castagna (1783-1865), che gran parte aveva avuto nei moti rivoluzionari ed era stato trionfalmente eletto deputato al parlamento, mentre l’esercito austriaco marciava verso l’Italia, nella seduta del parlamento del 1° febbraio 1821 dichiarò: “L’entusiasmo patriottico dei teramani è superiore ad ogni elogio; si può ben immaginare, descrivere non mai. Persino giovani del seminario della città di Penne non seppero resistere alla voce della patria che chiama tutti alla comune difesa: sono essi corsi alle armi per unirsi all’esercito, tra le lagrime di gioia dei loro congiunti e tra gli applausi generali”. [23]
Il rapporto segreto della polizia borbonica è ricco di dettagli anche relativamente ai fatti successivi al congresso di Lubiana (avvenuto nel gennaio 1821), alla sconfessione della costituzione spagnola da parte del Re di Napoli e all’invio in Italia di un corpo di spedizione della Santa Alleanza.
Vi si legge, infatti: “Tosto che si seppe la fuga delle truppe napolitane e la loro disfatta verso Antrodoco in Prov.a dell’Aquila l’Intendente Lucenti e il Comandante Forcella nel di 12 di marzo partirono precipitosamente da Teramo conducendo loro i cavalli ed i muli presi in requisizione, ed ebbero da diversi Cittadini di Teramo circa ducati 400. Il corpo dei Legionari si sciolse, le truppe austriache entrarono nella Prov.a senza alcuna resistenza e nel di 17 di marzo se ne fissarono in Teramo da circa tre compagnie. Le vendite carbonare sin d’allora furono chiuse.” [24]
Nel citato rapporto segreto del 1823 della polizia borbonica compare un elenco che viene definito Quadro dei principali carbonari della provincia di Apruzzo Ultra Circondario di Teramo, con l’indicazione delle diverse vendite carbonare con i rispettivi organigramma, cui segue un elenco di 376 nomi di affiliati, con riportati anche l’età, la condizione sociale, il luogo di appartenenza. Il tutto è preceduto da questa dicitura: “Dal quadro annesso si rilevano i principali funzionarii nelle vendite e nella cosiddetta magistratura carbonara, come anche i luoghi ove furono quelle aperte per quanto se n’è potuto fino ad ora conoscere.” [25]
Non compare nell’elenco un personaggio alquanto misterioso, che pure risiedette a Teramo per qualche tempo: Luigi Marcocci, figlio di un notaio, Giuseppe, zio di Nicola Ricciotti e conosciuto dalla Polizia come “celebre massone”. Luigi, dopo aver aderito alla Massoneria a Penne, fu capo della vendita carbonara di Frosinone I guerrieri e seguaci di Pompeo. Dopo il fallimento del tentativo di moto rivoluzionario a Frosinone nel 1821, si recò in esilio proprio a Teramo, dove aveva delle proprietà. Nel 1849 sarà eletto deputato alla Costituente della Repubblica Romana.
Sigillo della Vendita Carbonara all’Ordone di Corropoli, con il motto “Libertà o morte”.
Sigillo della Suprema Magistratura della R. Vendita Pretuziana all’Ordone di Teramo.
Sigillo della R. Vendita Filantropi Istoniesi all’Ordone di Vasto.
NOTE
[1] Diffusore inprimis della Carboneria in Abruzzo viene considerato Pierre-Joseph Briot, Intendente per l’Abruzzo Citeriore nel biennio 1806-07. Vedi il volume: Francesco Mastroberti, Pierre Joseph Briot. Un giacobino tra amministrazione e politica (1771-1827), Edizioni Jovene, 1998. Al contrario dell’alfabeto, il calendario massonico è tuttora impiegato in modo diffuso, presso l’intera Massoneria Universale, tanto che molti sigilli dei Grandi Orienti, compreso quello del Grande Oriente d’Italia, riportano una data di fondazione non corrispondente a quella corrente. L’anno massonico, che inizia con il primo giorno del mese di marzo, viene definito “V.L.”, ovvero della Vera Luce, oppure (più raramente) “E.M.”, cioè Era Massonica. La data della V.L. è superiore a quella dell’E.V esattamente di 4000 anni. Pertanto il 1811 corrisponde, secondo il calendario dell’antica maestranza. al 5811 e il 1809 al 5089.
[2] C’è anche chi sostiene che la Carboneria non fosse altro che la parte operativa della Massoneria. In apertura della costituente massonica del 1861. David Levi affermava pubblicamente, riferendosi ai moti carbonari italiani: “Tutti i fratelli sentivano che i tempi i erano maturi e che era venuto il giorno dell’azione. La Massoneria abbandonò allora il campo religioso e filosofico per entrare nel campo politico e dell’azione. Essa si organizzò in vendite e fondò la Carboneria”.
[3] Beniamino Costantini, I moti in Abruzzo dal 1798 al 1860, Adelmo Polla Editore, Cerchio (AQ), 1998 p. 39.
[4] Giovanni Pansa, I sigilli segreti della Carboneria abruzzese, in Rivista Abruzzese di Scienze, Lettere e Arti, Anno XXVII, Fasc. VIII, Agosto 1912, pp. 405-413. Ripubblicato come monografia all’Aquila nel 1992 dalla R. L. Utopia all’Oriente dell’Aquila.
[5] Catalogo della mostra La fondazione del Grande Oriente d’Italia. Testimonianze iconografiche sulla Carboneria – Museo Garibaldino Porta San Pancrazio. edizione fuori commercio.
[6] Mastroberti F. Pierre Joseph Briot: un giacobino tra amministrazione e politica (1771-1827). Napoli, Jovene, 1998.
[7] Godechot I., P.J. Briot et la Carboneria dans le Rovame de Naple.
[8] Gabrielli G., Il Grande Oriente Murattiano, in Rivista Massonica, n. 7, settembre 1976.
[9] Archivio di Stato di Napoli, Polizia borbonica, rapporto segreto 1823.
[10] Cit.
[11] Beniamino Costantini, I moti in Abruzzo dal 1798 al 1860, cit., p. 39.
[12] Archivio di Stato di Napoli, Polizia borbonica, rapporto segreto 1823.
[13] F. Della Peruta, La Massoneria in Italia dalla Restaurazione all’Unità, in AA. VV. La Massoneria nella storia d’Italia, Atanor, 1981, p. 67.
[14] Archivio di Stato di Napoli, Polizia borbonica, rapporto segreto 1823.
[15] Cit.
[16] Cit.
[17] Cit.
[18] Cit.
[19] L’unico originale è presso la Biblioteca Universitaria di Napoli, ristampato in edizione anastatica da Bastogi Ed., Foggia.
[20] Missiva del G.M. dell’Ordone di Corropoli all’Intendente della Provincia di Teramo Nicola Lucenti del 9 novembre 1820, appartenente all’archivio Paolo De Sanctis e ora in possesso dell’antiquario Corrado Anelli.
[21] Andrea Costantini (Teramo, 1788-1866) aderì subito alla Carboneria e lottò nel moto del 1814, pagando con il carcere a Napoli (Andrea Costantini, Difesa, cenni biografici e confessioni di Andrea Costantini condannato al terzo grado di ferri duri nel 1851 dalla G.C.S. di Teramoper voluto misfatto politico, in Napoli, Stamp. Del Vaglio, 1861). Trai capi della Giovine Italia teramana, partecipò alla sollevazione del 1837. In seguito ai fatti del ’48 subi nel 1851 la condanna a diciannove anni di ferri. Avvocato e giudice. scrisse tra l’altro sulla repressione del brigantaggio (Dei modi per far cessare il brigantaggio nelle province meridionali, pensieri di Andrea Costantini, Torino. Tip.Cavour, 1863) e control’ abolizione della pena di morte, ritenuta efficace deterrente Suoi figli furono Settimio e Berardo, esponenti della sinistra teramana successivamente all’Unità d’Italia.
[22] Archivio di Stato di Napoli, Polizia Borbonica, rapporto segreto 1823
[23] Cit.
[24] Cit.
[25] Cit.
Gli autori:
ELSO SIMONE SERPENTINI, già docente di storia e filosofia, scrittore e saggista, autore di All’Oriente di Teramo. La Massoneria teramana tra storia e cronaca (2014), ha pubblicato, 35 volumi della collana “La Corte! Processi celebri teramani”, 5 volumi della collana “Briganti d’Abruzzo” e ha curato l’unica traduzione in italiano moderno del capolavoro della letteratura spagnola barocca del Seicento, Il Criticone di Baltasar Gracián (2008). Nel 2009 ha pubblicato Enrico Sappia. Cospiratore e agente segreto di Mazzini (a quattro mani con lo storico francese Maurice Mauviel) e nel 2016 ha curato dello stesso Sappia (Enrico Sappia De Simone) Gli scritti abruzzesi. Sempre per Artemia Nova Editrice nel 2019 ha pubblicato con Loris Di Giovanni Storia della Massoneria in Abruzzo e con altri autori Il Manoscritto di Pianella.Un catechismo massonico abruzzese dei primi dell’Ottocento e Fabrizio Padula. Il medico, il politico, l’artista e il massone.
LORIS DI GIOVANNI, laureato in giurisprudenza, con una tesi sulle associazioni segrete e la Loggia P2, e in scienze politiche, con una tesi sulla storia della Massoneria in Abruzzo, è autore di La massoneria a Chieti e in provincia: dal periodo napoleonico al Fascismo, (Poligraph, Chieti, 1997); Sigilli massonici e carbonari abruzzesi nell’Ottocento, (Poligraph, Chieti, 1998); Il marchese Gesualdo de Felici e la Massoneria: note ad un carteggio rinvenuto, (Poligraph, Chieti, 2001); Note su la historia della Libera Muratoria in Teathe, (con Alessandro Verri, Tabula Fati, Chieti, 2001); Umberto Cipollone Gran Maestro del G:.O:.I:.- scritti, interventi, documentazioni, (Tip. Botolini, Lanciano, 2006). Ha anche pubblicato sempre per Artemia Nova Editrice nel 2019 con Elso Simone Serpentini, Storia della Massoneria in Abruzzo, con lo stesso e con altri autori Il Manoscritto di Pianella. Un catechismo massonico abruzzese dei primi dell’Ottocento e Fabrizio Padula. Il medico, il politico, l’artista e il massone.