Articolo tratto da “Storia Architettura” del 1975
(su gentile segnalazione di Lorenzo Fragassi)

La chiesa di S. Agostino e la struttura urbana di Città S. Angelo

di Lorenzo Bartolini Salimbeni

Il caso del S. Agostino a Città S. Angelo in Abruzzo può essere preso ad esempio di quel processo di decadenza fisica e funzionale che, innescato da molteplici fattori, nel giro degli ultimi cinquant’anni ha portato tanta parte del nostro patrimonio architettonico sull’orlo della rovina.

Fin dalla sua fondazione ai primi del Trecento la chiesa ha svolto un ruolo determinante nello sviluppo della città; dopo i rifacimenti settecenteschi, insieme all’annesso convento e all’oratorio di S. Salvatore forma uno dei più importanti complessi barocchi dell’entroterra pescarese; ancora oggi costituisce uno degli elementi più significativi del paesaggio urbano. Ma la sua condizione attuale è quella dell’edificio che, esaurito il proprio ciclo vitale, sussiste ormai solo allo stato di ingombrante rudere, estraneo alla cultura ed al sentimento della popolazione; e fra gli strati meno sensibili di questa, già qualche voce si è levata a proporne la demolizione.

Inutile come luogo di culto, poco apprezzata come opera architettonica dalla cultura locale che ancora risente del pregiudizio antibarocco, dissestata nelle coperture e lesionata nelle volte per l’incuria, la chiesa di S. Agostino è dunque condannata, a meno che un improbabile intervento di restauro non le restituisca, insieme con l’integrità fisica, anche una funzione che ne assicuri la sopravvivenza. Con questa breve presentazione vogliamo dare un contributo alla conoscenza del monumento, nella convinzione che questa sia la premessa indispensabile per un’operazione di recupero.

Ricostruire con esattezza la storia di Città S. Angelo è cosa ardua per mancanza di fonti; fra l’altro i documenti contenuti negli archivi comunali e parrocchiali sono andati in gran parte perduti durante l’occupazione francese del 1799 (1).

La questione, assai dibattuta in passato, se Città S. Angelo fosse o meno l’antica «Angulum», municipio romano di origine vestina di cui parla Plinio, situata da alcuni alla foce del Saline, da altri nella posizione attuale, ha scarsa importanza ai fini della ricostruzione della vicenda urbanistica; perché il nucleo cittadino, quale oggi si presenta, fu riedificato (o edificato ex novo) dopo la distruzione del 1239.

In quell’anno infatti la città, che si era sollevata contro Federico II di Svevia, dovette subire la rappresaglia dell’imperatore, per mano del Giustiziere d’Abruzzo Boemondo Pissono. La repressione ebbe carattere di particolare durezza, probabilmente per dare un esempio alle altre città d’Abruzzo: la popolazione fu decimata, le case furono incendiate e le mura rase al suolo; dopo di che sulle rovine fu sparso il sale, ad indicare la perpetua desolazione del luogo (2). Dato il carattere radicale del provvedimento, è ragionevole supporre che ogni preesistenza architettonica anteriore a quella data sia scomparsa.

Nel 1240, tuttavia, la popolazione superstite chiese ed ottenne tramite lo stesso Boemondo Pissono di potersi stabilire sul territorio della città distrutta in tre «casali», ossia piccoli agglomerati urbani privi di mura (3). Di tutte le ipotesi che sono state fatte circa l’ubicazione dei tre casali, la più attendibile è che questi fossero posti su tre emergenze del terreno, nel luogo dove attualmente sorge la città, di cui costituirono i primi nuclei di formazione. Ad un primo esame, infatti, il centro storico di Città S. Angelo presenta la caratteristica morfologica a fuso, tipica di molti insediamenti medievali; ma l’analogia è solo apparente. Intatti questo tipo di impianto nasce solitamente per disposizione del tessuto edilizio lungo un percorso longitudinale che ne costituisce l’asse, alla cui estremità sorge il castello o palazzo, mentre più raramente (Loreto Aprutino) si ha una doppia polarità chiesa-castello.

Nel nostro caso, invece, una più attenta lettura del tessuto urbano fa rilevare come questo sia formato in tre nuclei, per coagulazione intorno a tre centri d’interesse religioso (le chiese di S. Michele Arcangelo, S. Francesco con il convento dei Frati Minori, e S. Agostino col convento degli Eremitani), che sorgono su tre rilievi del terreno, separati da avvallamenti detti appunto «valloni», e collegati da un percorso longitudinale in corrispondenza della linea di cresta. La tesi che identifica in questi tre nuclei indipendenti i casali nominati più sopra, acquista così ulteriore credito, perchè sarebbe difficile spiegare altrimenti il sorgere contemporaneo di tre importanti chiese, tutte databili con sicurezza ai primi anni del XIV secolo.

Col passare del tempo i tre primitivi nuclei si espandono e si saldano tra loro; i valloni, parzialmente colmati, divengono percorsi trasversali, conservando tuttavia l’antico nome; il percorso longitudinale di collegamento assume importanza crescente, fino a divenire l’asse viario principale, sulle cui fronti si verificheranno in epoca successiva gli interventi edilizi di maggior rilievo.

La città acquista così una struttura unitaria, che è quella attuale: ma una traccia dell’antica autonomia rimane nel quartiere intorno a S. Agostino, ancora oggi chiamato comunemente «il casale». Questa porzione di tessuto urbano ha una fisionomia a sé, sia dal punto di vista tipologico (è formata quasi interamente da schiere di case basse, in cui il tipo della cellula medievale è in gran parte conservato) sia sociale: la denominazione «strada del ghetto», data alla sua via principale, è assai antica, ed anche se non si ha memoria di una vera e propria comunità israelitica, pare alludere al fatto che il quartiere sia stato anche in passato sede di minoranze etniche (4). In definitiva tutta la zona, che meriterebbe uno studio più approfondito, risente dello stato di abbandono in cui si trova il suo centro ideale, la chiesa, ed oggi è squalificata e come tagliata fuori dal resto del paese.

Già costruita prima del 1314, la chiesa di S. Agostino aveva all’inizio uno schema assai semplice, ad unica navata coperta a capriate, priva di abside e di cappelle laterali, anche se l’esistenza di due vani più bassi, coperti a volta ed innestati alla parte terminale, contribuiva a suggerire l’immagine di una croce latina. Era lo schema monastico, derivato dalla chiesa francescana, che in quegli anni raggiungeva in Toscana ed in Umbria le sue più significative espressioni. L’ingresso era certamente lungo l’asse principale, sul lato Nord dove ancora si vede un arco chiuso, seminascosto da un edificio posteriore; solo più tardi, con l’accentuarsi dell’importanza del Corso, l’ingresso venne spostato sul lato prospiciente il nuovo asse viario, e nel rifacimento settecentesco fu ulteriormente qualificato con la costruzione della facciata.

Alcune notizie sull’aspetto del primitivo S. Agostino si trovano in una relazione del 1650. conservata nella Biblioteca Vaticana, di cui si riporta in nota la parte relativa alla descrizione della chiesa e del convento (5). Tale descrizione, per quanto assai approssimativa, permette di valutare l’entità e la qualità degli interventi successivi, che si riassumono in una ristrutturazione dello spazio interno, con modifica del rapporto larghezza-altezza (da 1:1, se dobbiamo credere alla relazione, si passa a circa 1:1,2) e nella ricostruzione in forme più imponenti della scalinata d’accesso e della facciata. Niente o quasi, a parte la data d’inizio e quella della presunta ultimazione dei lavori, ci è dato invece sapere sulle vicende costruttive del convento, che all’epoca del massimo splendore doveva essere più ampio di quello che i resti attuali lascino supporre. Probabilmente era completo il chiostro, di cui oggi rimane il lato addossato alla chiesa, chiuso e trasformato in magazzino; gli edifici superstiti fanno riconoscere ben quattro livelli di costruzione, con grandiosi ambienti voltati a botte od a crociera, tracce di affreschi e decorazioni a stucco. Tuttavia è probabile che all’epoca del rifacimento della chiesa la decadenza del convento fosse già iniziata.

Nel XVIII secolo, dunque, la chiesa subisce una serie di trasformazioni, culminanti nel restauro del 1789, ad opera dell’architetto Santino Capitani «dello Stato Pontificio» (6). In seguito a questi interventi la sobria, elementare spazialità dell’edificio medievale, scandita dal ritmo eguale delle capriate, viene dilatata e compressa da nervature che inquadrano due campate principali, coperte da volte a cupola assai schiacciate, alternate ad una serie di ambienti minori: presbiterio, loggia dell’organo, vani dei pulpiti. Il dialogo di questi spazi giustapposti ha insieme valore dinamico e di equilibrio; il tema della chiesa ad aula, qui affrontato sul chiudersi dell’età barocca, viene risolto in termini di misurata, calibrata tensione spaziale. Anche il prospetto sul Corso è povero di aggettivazioni plastiche; è chiaro che l’architetto del S. Agostino affida alla posizione eccezionale della facciata, quasi una quinta posta a conclusione della fuga ascensionale della via, la suggestione dell’elemento architettonico, che qui assume un chiaro significato di definizione dello spazio urbano.

Degli stessi anni è il piccolo oratorio di S. Salvatore, la cui facciata dal disegno semplicissimo si anima di intensi effetti chiaroscurali in virtù delle statue del Salvatore e dell’Immacolata. A completare l’insieme viene rifatta in pietra la maestosa scalinata; la chiesa viene dotata di un grande organo ed arricchita di numerose tele, statue ed altri arredi (7).

Pochi anni dopo, tuttavia, ha inizio la decadenza del complesso. Nel 1809 furono soppressi con decreto di Gioacchino Murat i frati Agostiniani, ed i loro beni furono incamerati; cessate le rendite e ridotta la sua importanza, la storia della chiesa si identifica d’ora in poi con quella dei restauri che sempre più raramente vengono fatti per arrestarne il declino. Nel 1831 viene rimbiancata; nel 1854 viene rifatto il campanile; ma già nel 1907 si rende necessario il rinnovamento delle coperture che minacciano rovina.

Allo scoppio della prima guerra mondiale la chiesa viene requisita e trasformata in alloggio per le truppe, che la devastano distruggendo anche l’organo. Da questo momento S. Agostino cessa di essere chiesa, e continua a sopravvivere sempre più precariamente come edificio dalle mille destinazioni. Viene adibito a deposito di grano, poi a scuola per muratori; infine le condizioni statiche peggiorano a tal punto da rendere sconsigliabile, perché pericoloso, un qualsiasi uso. Siamo giunti alla « morte civile » dell’edificio; da qui alla morte fisica (crollo o demolizione) il passo, come si sa, è assai breve.

Non è questa la sede per deplorare gli errori che sono stati fatti, e quelli che continuano a fare, a danno di questo e di altri monumenti: il discorso è assai ampio, ed investe il problema della salvaguardia attiva delle nostre preesistenze architettoniche. Possiamo solo augurarci che le mura della vecchia chiesa resistano ancora, che non si oltrepassi il punto al di là del quale un restauro non è più possibile, e che i prossimi anni non debbano registrare la scomparsa di un’altra importante testimonianza del nostro passato e della nostra cultura.

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NOTE

(1) Una storia della città, sia pure lacunosa e frammentaria, si trova in: CAMILLO PACE, Città S. Angelo: il paese, le chiese, gli uomini illustri, Teramo 1901, ed in: PASQUALE PACE, Storia di Città S. Angelo, Pescara 1943.
La seconda opera non è altro che il rifacimento della prima, integrata specie per le notizie riguardanti i moti carbonari del 1814.

(2) Regestum Imperatoris Frederici II, annor. 1239 et 1240, XIV mensis Decembris (1239), passim: «Boamundo Pissono Justitiario Aprutii fideli suo etc. (…) Super eo autem quod intimare curasti videlicet de hominibus Castri quod dicitur Civitas Sancti Angeli quos exigente ipsorum malitia sicut docuit processisti diruendo muros eiusdem loci, comburendo cauponas et domus, homines suspendendo, mutilando, forbanniendo et perpetuo amovendo Celsitudini nostrae placuit, et volumus quod locus ipse perpetuo desoletur».

(3) Il decreto relativo è il seguente: «Martio in Viterbo (1240) XIII, De Imperiali mandato facto per magistrum Taddeum de Suessa scripsit G. de Cusentia B. Pissono lustitiario Aprutii responsales. (…) Quod autem nostram excellentiam consultasti ubi et in quibus locis velimus homines Sancti Angeli ad habitandum locari, volumus et mandamus ut eos in territorio predictae terrae Sancti Angeli loces, faciens ex eis tria Casalia ubi commodius et decentius videris prò nostra Curia expedire».

(4) Ancora oggi Città S. Angelo ospita una piccola popolazione di zingari seminomadi, solo parzialmente integrati col resto della cittadinanza.

(5) «Relatione del Convento dell’Ordine Eremitano di S. Agostino della terra di Civita di S. Angelo Ill.mo Padre: il monastero della terra di Civita S. Angelo in Abruzzo ultra dell’Ordine Eremitano di S. Agostino è situato a capo della terra (nel) luogo più eminente in isola, circondato da case habitate con strada publica intorno. Diocese della Città di Penne, è stato eretto l’anno 1314.
Donò il sito nell’anno detto nomine charitatis Roberto Re di Gerusalemme e di Sicilia, in Napoli l’anno quinto che regnava, die nono et decimo del mese d’Aprile, acciocché li Padri dell’Ordine Eremitano di S. Agostino potessero celebrare, e recitare i divini officij, e pregare Iddio per la remissione de’ suoi peccati, e per quelli della sua casa vivi, e per li morti. Donò la chiesa già fabbricata, dove haveva il lusso patronale col titolo di S. Maria, con conditione del placet di Monsig.re Ill.mo Ord.o, e del Capitolo della Collegiata di detta terra, restò la Chiesa col medesimo titulo di S. Maria. E’ lunga dieòinove canne col Choro, e di sette canne di larghezza computandoci la parte della nave situata col corno dell’Evangelio, è d’altezza sette canne dal pavimento senza il fondamento; è fabricata tutta di mattoni. Per entrare in chiesa venendo da(la) piazza si salivano vent’uno gradino lunghi tre canne, ma stretti; avanti alla porta della chiesa ci stà un poco di cortile di larghezza una canna in circa, con sedile alla sinistra per entrare in chiesa, e con spalliera alla destra (…). E’ coperta con travi, tavole e coppi; ha il campanile al corno dell’Evangelio con quattro campane, e la sacrestia al corno dell’Epistola.
Il sito del Convento è di circuito computandoci la chiesa di cento e quattro canne; ha l’inclaustro. Entrando nel convento si vede un cortile mattonato lungo quattordici canne, e di larghezza nove canne, con cisterna in mezzo, et alla parte di ponente un poco di orto muragliato di sito di canne dodeci in circa. Ha refettorio, dispensa, cucina, cucinotto, legnaio, due fondachi, cantina, stalla, dormitorio con camere numero nove, un stanzone da finirsi, e commodità di poter fabricare. (…)
L’anno 1314, che la bona memoria del Re Roberto donò alli Padri Eremitani il sito, si deve credere l’incominciassero a fabricare con l’elemosine, e la fabrica si ridusse alla perfezione sopradetta l’anno 1343, per quello se ne vede memoria in un mattone di suddetta fabrica, tramezzato nelle finestre fuori l’inclaustro dirimpetto alla cisterna.
Fabricorno gli antichi Padri per il placet di Mons.re Ill.mo Vescovo di Penne del Capitolo della Colleggiata delli Superiori, e dell’Università».
(Seguono elenchi dei religiosi, dei possedimenti e delle rendite del convento, quindi le generalità dei compilatori: Fra Girolamo Delitiis Cicogna venetiano, Fra Angelo Serucci di Città S. Angelo, Fra Marco del Vasto. La data è l’8 febbraio 1650).

(6) Non si hanno notizie più precise su questo architetto, che viene indicato anche come autore del restauro o rifacimento della chiesa di S. Bernardo a città S. Angelo.

(7) Gli stucchi del S. Agostino sono opera di Alessandro Terzani da Como, che col figlio Giuseppe fu attivo a Città S. Angelo fino ai primi anni dell’Ottocento. Le statue sulla facciata del S. Salvatore, notevoli per la loro tenue grazia settecentesca, sono l’unica opera certa dello stuccatore angolano Zopito Grella. L’organo, datato 1795, era dovuto al veneziano Adriano Fedri; la cassa in legno intagliato, come pure i due confessionali, erano opera dell’intagliatore angolano Vincenzo de Tollis.
Purtroppo nulla è rimasto di questi e degli altri arredi di cui si ha notizia fino al 1943.

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