Visita con il panorama a 360° il Museo Civico.
Da chiesa di S. Salvatoris del Castello a Museo Civico.
La chiesetta del Salvatore o di San Liberatore a Città Sant’Angelo, ubicata nelle immediate vicinanze della chiesa di Sant’Agostino, ha una struttura di ridotte dimensioni ed è costituita da un’unica navata. La data della sua costruzione non è nota – anche se nell’elenco delle decime pagate dalle chiese di Città Sant’Angelo viene menzionata anche la chiesa di S. Salvatoris del Castello –, mentre si sa per certo che fu ristrutturata nel 1788, quando le fu data una “nuova forma”; un successivo restauro venne eseguito nel 1850.
Il piccolo oratorio, intitolato a suo tempo a San Liberatore, presenta una facciata classicheggiante con al centro una grande finestra, ai cui lati sono situate due nicchie che ospitano le statue in gesso, di ottima fattura, raffiguranti il Salvatore e l’Immacolata Concezione, opera insieme agli stucchi dell’interno, dell’artista locale Zopito Grella, che la tradizione vuole si allontanasse dalla città facendo perdere ogni sua traccia. Da ricordare la graziosa torre campanaria, ormai pressoché distrutta, di chiara ispirazione borrominiana.
Attualmente è sede del Museo Civico “Luigi Chiavetta” ed ospita numerosi reperti archeologici rinvenute nel territorio angolano ed una importante raccolta di piccola statuaria cultuale (chinocchje), che il popolo ha custodito e gelosamente conservato quale espressione ingenua, ma sincera e suggestiva di fede religiosa.
“LI CHINOCCHJE”
Piccola statuaria cultuale a Città Sant’Angelo.
Probabilmente l’uso di tenere in casa statue, icone, crocifissi ed altri simboli sacri, si ricollega alla tradizione pagana dei simulacri ad uso familiare, legata comunque ad un rapporto privatistico con la divinità, alla quale si richiedeva protezione per se stessi e la famiglia. Questo uso privato dell’oggetto cultuale ne ha necessariamente determinato la misura, cosí, dovendo essere collocate in spazi ristretti, le statue non superavano quasi mai l’altezza di cm. 50 (circa).
É nostra opinione anche che le caratteristiche iconografiche delle varie statue risentano di questo rapporto privato o intimo, il quale si manifestava attraverso la manipolazione che si operava sulla conocchia, aggiungendo o modificando — se non addirittura rifacendo abiti e accessori — al fine di dare alla statua l’aspetto voluto. In altri termini, noi pensiamo che questi oggetti, anche se non tutti, arrivavano dai luoghi di produzione senza che fosse data loro una attribuzione iconografica specifica, ma che solo successivamente, con opportune modifiche operate sul posto, assumevano le sembianze del Santo secondo la particolare devozione della famiglia o del paese. Così a Città Sant’Angelo, dove il culto della Madonna Addolorata è molto diffuso, è frequente la statuina con il classico abito nero con bardature dorate, la corona, il fazzoletto nella mano, il pugnale che le trafigge il cuore; quasi a voler riproporre in «piccolo» (nell’intimità) ciò che il popolo in «grande» nelle occasioni di festività porta in processione, nel consumo collettivo del rito.