LUIGI CILLI
(1853 – 1935)
Educatore, pedagogista, filosofo, sociologo, oratore, scrittore, sindaco, cavaliere, medaglia al valor civile
(1853 – 1935)
Educatore, pedagogista, filosofo, sociologo, oratore, scrittore, sindaco, cavaliere, medaglia al valor civile
Educatore di più generazioni, fu letterato, filosofo, sociologo, poliglotta, oratore e scrittore di eccezionale valore – Venne eletto sindaco di Città Sant’Angelo – Fu decorato al valor civile – Fu sincero amico dei lavoratori e si prodigò per il loro riscatto economico, morale e intellettuale.
Egli nacque a Città S. Angelo il 19 luglio 1853. In pieno clima risorgimentale. Suo padre, Domenico, agricoltore, fervida tempra di patriota, fece parte della «Giovine Italia» insieme all’altro angolano Michele Ghiotti e successivamente capitano della Guardia Nazionale. Il fratello Antonio fu volontario garibaldino e a soli 17 anni partecipò valorosamente alla battaglia di Nerola.
Luigi Cilli fu iniziato agli studi classici da don Filippangelo Crognale, il quale dopo essere stato segretario della diocesi di Potenza ed aver diretto quel seminario insegnandovi lettere e filosofia, era tornato a Città S. Angelo ed aveva subito aperto una scuola privata, fiorentissima sino al 1870, nella quale il dotto e severo sacerdote educò i giovani ad alti sentimenti religiosi e patriottici. Il Cilli studiò a Sulmona e consegui la licenza ginnasiale a Teramo ad appena 13 anni. Iscrittosi al Liceo di Chieti, potè frequentarlo per breve tempo, e a causa di una acuta crisi di nostalgia che ne fiaccò il corpo e ne prostrò lo spirito, pur essendo di fisico prestante, dovette decidere di tornarsene in famiglia. Il suo destino era segnato. Egli difatti non si allontanò mai più dal paese natio se non in rare occasioni e per breve tempo, unica eccezione il soggiorno a Napoli, che durò più mesi. Il paese natio: il suo nido, il suo osservatorio, la palestra dei suoi studi e delle sue lotte.
Luigi Cilli frequentò lo studio dei fratelli Pasquale e Nicola Castagna, seguendo specialmente la scuola del primo. Come privatista tornò a Chieti per diplomarsi maestro e dal 1875 al 1883 insegnò nelle scuole comunali di Città S. Angelo. Nel 1864 la deliberazione di nomina non venne confermata dal Provveditore agli Studi di Chieti e Teramo perché, nientemeno, ritenuto «un mezzo ignorante» e sfornito di titoli sufficienti. Don Filippangelo Crognale che a Potenza aveva avuto come alunno lo stesso provveditore, gli spiegò il deplorevole errore commesso e lo informò dei grandi meriti del Cilli. In un secondo tempo la nomina venne ratificata. Troppo tardi. Il Cilli aveva deciso di ritirarsi dall’insegnamento pubblico e nello stesso 1884 ottenne l’autorizzazione ad aprire una scuola privata per le classi elementari, ginnasiali e tecniche. Un antico disegno che si compiva.
Vi accorsero subito alunni anche da molti paesi d’Abruzzo, richiamati dalla fama che Luigi Cilli si era subito acquistata di educatore dotto coscienzioso, rigido, austero. E i giovani andavano per avere la preparazione in più ordini di studi: italiano, latino, greco, storia, geografia, filosofia, francese, tedesco e, da ultimo, inglese, imparato a 60 anni. In francese raggiunse tale perfezionamento e profondità che l’Addetto culturale dell’Ambasciata di Francia a Roma, in ricordo di una lunga discussione su Voltaire avuta con il Cilli in casa del senatore Maury a Città S. Angelo, appena ritornato alla capitale, gli mandò formale invito perché ne scrivesse una monografia da pubblicare su una rivista parigina. Il Cilli non accolse l’Invito. «Ma che valore può avere un mio scritto? Sono un modesto maestro elementare…». Ecco come si spiega se l’enorme tesoro di dottrina accumulato dal Cilli in oltre settant’anni di studi non sia oggi patrimonio di tutti, dal momento che egli omise più volte di pubblicare quanto andava scrivendo. Oggi si hanno solo rare copie dattilografate di pochi scritti e discorsi.
La scuola privata del Cilli ben s’inquadra in quella fioritura di scuole che per tutto il secolo scorso ebbe a prodursi in Italia. Luigi Illuminati, latinista insigne della vicina Atri, docente universitario, così commentò il fenomeno delle scuole private nell’800, in occasione dell’orazione commemorativa tenuta al Teatro Comunale di Citta S Angelo, ad un anno dalla morte di Luigi Cilli, il 27 dicembre 1936; «…Queste scuole private fino all’unificazione d’Italia ebbero in Abruzzo una missione educativa di prim’ordine. Erano tanti focolari in cui la fiamma del sapere era custodita quasi sempre da un sacerdote colto e patriota e servivano a mantenere vivo negli animi giovanili l’amore della patria e della cultura in tempi di dispotismo politico e di oppressione intellettuale. Altrove questi focolari erano seminari, come quello delta mia Atri che per illuminato zelo del rettore don Lino Romani fu dal 1850 il vivaio delle migliori intelligenze d’Abruzzo ed ebbe maestri come Gabriello e Rodolfo Cherubini ed il filosofo don Ariodante Mambelli, noto anche per le sue relazioni epistolari col Mazzini, di cui propagò fra i giovani il verbo, suscitando con l’accesa e convinta parola entusiasmi nobilissimi e dando alla gloriosa legione dei Mille il suo scolaro Pietro Baiocco, nome caro anche a voi per ragioni di vincoli consanguinei con una famiglia di Città S. Angelo [Pasquale Baiocchi – NdR] e particolarmente caro all’Abruzzo, perché Pietro Baiocco tu il solo abruzzese partito dallo scoglio di Quarto con Garibaldi. Luigi Cilli nelle onoranze tributate dalla cittadinanza atriana all’eroe caduto sotto le mura di Palermo, pronunciò un caloroso ed eloquente discorso che lasciò un’impressione vivissima nella folla e che fu un vero e proprio successo aratorio del giovane angolano andato a portare iI saluto e l’adesione della vostra città consorella in quella patriottica circostanza».
La scuola privata del Cilli visse ufficialmente fino al 1906, ma duro sempre, fino alla morte del maestro perché fino agli ultimi giorni dalla sua vita egli ha insegnato. Tutti andavano a lui per una conferenza, per un articolo, per un epigrafe, tutti volevano sentire il suo giudizio, il suo consiglio. Era, la sua, una fonte inesauribile di sapere alla quale tutti attinsero, tutti ci dissetarono, d’ogni età, d’ogni professione, d’ogni condizione.
Anche chi scrive queste note [Mario Perazzetti – NdR] ebbe l’onore di essere suo allievo, l’ultimo si può dire, ma purtroppo solo fino all’età di dieci anni ed in guisa certamente singolare e tutt’affatto nuova rispetto alle forme tradizionali Luigi Cllli. alla soglia degli ottant’anni, veniva perdendo l’uso della vista e per questo ebbi a prendere con lui in più stretta dimestichezza e consuetudine per leggergli quotidianamente giornali, riviste e testi letterari. Nella stanza, ricordo chiarissimamente, insieme a noi erano quasi sempre la sorella Caterina, donna di virtù esemplari, di grande intelligenza e di squisito sensibilità, morta ultranovantenne nel 1941, e don Peppino Bajocchi. Quest’ultimo lo accompagnava sovente nelle passeggiate al giro di circonvallazione. Ognuno comprenderà quale valore educativo assumesse per me la semplice abitudine alla lettura di testi sempre nuovi, dal linguaggio preciso e con tale maestro ed interlocutore. Si perché, dopo la lettura, ammetteva ed incoraggiava la discussione, il dialogo.
Ascrivo alla maggiore fortuna della mia vita averlo potuto conoscere e considero un privilegio aver potuto trarre così alto insegnamento dalla sua parola dotta, ferma, sicura. La sua fama di grande umanista, volata sin oltre la regione, la sua stessa statura fisica imponente incutevano soggezione. Ma lui sapeva mettere chiunque a suo agio, anche i ragazzi, con socratica bonarietà, come fu insegnamento la stessa moralità della sua vita austera e benefica.
Lo sentivo più volte parlare con gusto il dialetto (lui che sapeva tante lingue) e ciò perché era schivo di ogni «atteggiamento», amava la semplicità, desideroso di accostare gli umili, come era forte e deciso nel tener testa agli «eletti» e a combattere le prepotenze e le ingiustizie.
Si è detto della sua fama oltre la regione. A Napoli, intatti, dove soggiornò ospite del nipote Vincenzo de Tullio, noto per la sua attinta forense e per quella di docente di diritto all’Università, fu accolto con grande successo in un cenacolo politico-letterario in cui primeggiavano uomini come Salandra, Francesco Fiorentino, Jaia, Salvatore Di Giacomo, Giannino Antona Traversi, Guarracino, Altobelli, Miraglia, Gianturco. Ad essi rimase legato da grande amicizia; il Fiorentino gli pubblicò nel suo «Giornale Napoletano di Filosofia e Lettere» i Pensieri sull’educazione, dettati a 29 anni, ripubblicati in estratto, oggi introvabili. Il Jaia scriverà più tardi allo «sfornito di titoli sufficienti»: «Farei protestare tutto il Parlamento pur di vederVi a capo di una Scuola Normale».
Vi fu un periodo in cui a Città S. Angelo convenivano spesso i più famosi artisti: Michetti, Barbella, De Nardis; e qui v’erano Paolo De Cecco, Vincenzo Ranalli, Luigi e Rosolino Colella, Pasquale Bajocchi, Giuseppe e Antonio Crognale, Daniele Giampietro, Luigi Innamorati, Nicola Ghiotti, Orazio, Pasquale e Luigi Coppa-Zuccari, Emidio e Antonio Coppa, e i Petrucci, i Nasuti, i vecchi garibaldini Antonio e Filippo Natali, Antonio Cilli, Vincenzo Basile, Michele Valloreo, Giandomenico Terenzi. Citta S. Angelo meritò allora di essere chiamata la «Atene degli Abruzzi».
Il Cilli era da tutti cercato, apprezzato, amato. Per lui F. P. Michetti dipinse nel 1879 il gonfalone del Comune: per lui lo firmò nel 1928. I senatori Bergamini e Grassi, i Casamarte, i Delfico, Gaetano Panbianco, Giovanni De Cesaris ebbero caro l’amicizia del Cilli. Antonio De Benedictis lo chiamava Maestro.
Per i Pensieri sull’educazione ebbe in omaggio da Ferdinand Schultz uno studio che il famoso autore di grammatica latina aveva scritto sulle scuole tedesche.
Fra gli alunni di prestigio di Luigi Cilli ricorderemo tre concittadini: Vincenzo Ranalli, Luigi Innamorati, Nicola Ghiotti.
Oltre agli infiammati discorsi politici pronunciati durante le elezioni parlamentari del 1907-8 e del 1911, il Cilli ne pronunciò numerosi altri. Successi oratori di prim’ordine furono quelli riportati in Atri nella circostanza ricordata dal prof. Illuminati e a Castellammare Adriatico per la commemorazione di Giuseppe Garibaldi. Altro grande successo egli riportò in occasione dello scoprimento della lapide ai Martiri Angolani del 1814. Per la cerimonia era stato chiamato quale oratore ufficiale Giovanni Bovio, il bardo della democrazia, e fu tale il calore e la profondità dell’eloquio, tale l’altezza tale l’altezza dei sentimenti di Luigi Cilli che Bovio esclamò: «Ma perché chiamare me, se avete lui qui?».
Luigi Cilli fu sindaco di Città S. Angelo negli anni 1897-1898, consigliere della Banca Popolare, presidente della Società Operaia di Mutuo Soccorso per cinquant’anni. Rifiutò cariche importanti fuori del paese, lasciò quelle che ricopriva, fuorché l’ultima. Per oltre cinquant’anni, infatti mazziniano d’impegno, rimase a capo degli operai angolani per i quali si prodigò con costante azione di assistenza economica, morale e intellettuale, si racconta anche un episodio. In un corteo si erano messi alla testa tutti i maggiorenti del paese, i «signori». Non che egli disdegnasse demagogicamente la loro vicinanza — ché era del loro per nascita e per censo — ma così si espresse: «Me ne vado volentieri fra gli operai». Ciò che fece anche altre volte. Oggi è a lui intitolalo il Patronato Scolastico Elementare di Città S. Angelo.
Il suo coraggio, il suo altruismo egli dimostrò in più occasioni. È ancora nella memoria (a immane inondazione del 1888 in contrada Saline. Il Cilli con pochi altri animosi riuscì a trarre in salvo parecchi contadini dalla furia delle acque e si spinse tanto che fu travolto per qualche centinaio di metri, finché non riuscì ad aggrappami ad un provvidenziale cespuglio di tamerici sul quale, seminudo, passò tutta la notte in attesa di soccorsi con serio pericolo di morte. Fu decorato di medaglia al valor civile.
Luigi Cilli mori a 82 anni, la notte del 10 dicembre 1935, compianto da tutto un popolo. Il male, un’emorragia cerebrale, lo aggredì proprio nel suo organo più prestigioso. Riuscì a sopravvivere per circa quindici giorni, senza riprendere conoscenza se non per brevi istanti, ma durante il coma fu sentito recitare versi di Dante e del «Saul» dell’Alfieri.
Qualche settimana avanti aveva ripetuto ai familiari di far incidere sulla sua tomba queste parole: «Molto parlò, paco scrisse, nulla concluse». La sua infinita modestia. Oggi vi si legge questa epigrafe dettata da Pasquale Ritucci, che fu suo discepolo: «Risvegliati Maestro, abbiamo bisogno di sentirti ancora». Sanno infatti i concittadini, i discepoli, l’intero Abruzzo quanto egli abbia realizzato.
Spigolando fra gli scritti e i discorsi di Luigi Cilli.
Tragedia alfieriana del Saul.
Per dare un saggio del modo come nello spirito di Luigi Cilli si illuminavano a vicenda e si componevano in armonia le idee letterarie e filosofiche, riferiremo un brano della conferenza sulla “Tragedia alfieriana del Saul”, tenuta nel Circolo della Cultura di Città S. Angelo nel 1933, cioè a ottant’anni, In un’età che per molti è li tramonto offuscato dello spirito. Il Cilli dimostra ancora una vigoria e una lucidità mentale da far stupire. Egli dice:
“Il fato antico si compiva ineluttabilmente, la ragion pratica moderna trionfa. Ma ogni catastrofe aspetta la sua catarsi, come nelle antiche trilogie: nell’Agamennone di Eschilo — trilogia a noi giunta per intera — si precipita dal delitto di Clitennestra a quello di Oreste nelle Coefore, per giungere al trionfo della giustizia per opera del Patronato di Atene, e le Erinni si trasformano in Eumenidi, da furie implacabili in favoreggiatrici benigne. Nell’Edipo di Sofocle, benché le tragedie non regolarmente rilegate in trilogia, pure li legame tra l’Edipo Re e l’Edipo a Colono è evidente: il reo inconsapevole di nefandi delitti della prima tragedia si purifica nella seconda e diviene il genio tutelare della città di Atene, Anche il Saul, l’uomo sconfinatamente libero, come fu vagheggiato dalla Rivoluzione francese, e che nel trionfo irrefrenabile dei propri istinti non può che distruggersi, deve trovare la sua catarsi storica ed artistica, deve non solo vivere, ma convivere: deve evolversi fino a sentire se stesso in armonia con le leggi della natura e della storia: di guelfa storia che non è formata soltanto di fatti, ma è procedimento, per via dei fatti, verso l’instaurazione della giustizia”.
Discorso commemorativo di Giuseppe Garibaldi.
Nel discorso commemorativo di Garibaldi, tenuto a Castellammare Adriatico il 2 giugno 1808. nel XXV anniversario della fondazione della Società Operaia, rifacendosi al concetto della contemplazione della storia secondo l’Ideale della giustizia umana, affermava:
“Si fondi la religione delta patria, si fondi la religione del lavoro, si fondi la religione del diritto delle classi che alla patria e al lavoro danno braccia e mente, consacrano la vita che si va evolvendo nel pensiero e nell’affetto”.
Patria e umanità erano in cima al suo pensiero e come l’umanità gli incuorava sentimenti di giustizia universale, la patria gli ispirava accenti augurali di definitiva redenzione, di quella redenzione liberatrice che si incoronò dei lauri di Vittorio Veneto. Nella stessa commemorazione di Garibaldi egli disse:
“E con fiducia fattiva qui traggano le genti del nastro Abruzzo, al cospetto di questo mare, dell’amatissimo Adriatico, a tentare invocando: «Signor nostro, redimi l’Adriatico! / Libera alle tue genti d’Adriatico!». E la preghiera ridesti, nella sponda opposta, l’eco non sopita della gloria veneta; e più oltre, più oltre ancora, le memorie, non mai spente, delle nostre repubbliche marinare, dell’epoca dei portenti, quando «dalla rada ove Colombo nacque / volò San Giorgio a cavalcar su l’acque»”.
Concetto del dovere secondo la dottrina del Mazzini.
Nel 1918 scrivendo questa conferenza, il Cilli illustra il concetto di dovere secondo Mazzini e svolge in dottrina del pensatore e del politico genovese, della cui predicazione sente tutto l’Insegnamento e il fascino. Perviene quindi all’esame dei rapporti tra capitale e lavoro per via di deduzioni che scaturiscono dal concetto di uomo sociale considerato nella sua eticità, senza la quale la riduzione dell’uomo alla sola economicità è causa, in pratica di conflitti rovinosi. Osserva il Cilli:
“Noi abbiamo veduto che il movimento sociale degli ultimi tempi si é risoluto ad esclusivo vantaggio della burocrazia, che nella comune miseria, si rafforza, si dilata, s’impone e dissangua. D’altra parte, si è creata una circolazione fittizia che ha acuto per risultato il rincaro del prezzo della vita, poiché l’aumento dei compensi non è in proporzione della produzione, che può veramente accrescere la ricchezza ed ovviare alle fatalità previste dal Malthus. Ii rimedio alle vostre condizioni, operai, è l’unione del capitale e del lavoro nelle stesse mani per via delle associazioni cooperative e l’aumento detta produzione. A promuovere le associazioni, a mantenerle per bene comune, lo Stato deve provvedere”.
Pensieri sull’educazione.
È il solo lavoro importante e personale, scritto a 29 armi, che egli ci abbia lasciato, quale contributo alla pedagogia italiana come saggio di pensiero speculativo.
C’è in quelle cinquanta pagine dense di pensieri e di osservazioni una parte che si riferisce all’esperienza fatta direttamente dal Cilli come maestro ed un’altra – ed è la parte più importante — nella quale la sua esperienza si eleva alta speculazione filosofica fondata essenzialmente sulla Fenomenologia dello Spirito di Hegel. Egli infatti concepisce l’educazione come sviluppo dell’essere umano e combatte con sicuro vigore dialettico il positivismo, la cui pedagogia tenne il campo per più decenni. Il Cilli aveva dovuto avere nel suo pensiero le risonanze di quell’imponente movimento hegeliano che fu promosso a Napoli da Bertrando Spaventa, e che si riconnette all’idealismo a noi più vicino di Croce e Gentile.
Il positivismo diventava, quando il Cilli scriveva, la filosofia ufficiale e dilagava nelle Università e scendeva nei manuali scolastici. Non è merito indifferente del Cilli l’aver navigato contro corrente in un’età così fresca, quando sono facili le seduzioni delta moda anche nella vita del pensiero. E questo atteggiamento cosi esplicito e sicuro del suo spirito è una bella manifestazione di indipendenza di carattere e di fede nelle proprie convinzioni, che sono virtù del forte animo della stirpe abruzzese.
A proposito del concetto di sviluppo nell’educazione il Cilli dice:
“L’opera del maestro deve limitarsi a far si che lo spirito dell’allievo si sviluppi; pertanto la parte direttiva della Scuola deve essere volta non già a creare l’essere razionale (il che sarebbe assurdo), sebbene a rendere agevole che l’alunno possa compiere il proprio divenire
psichico e morale”.
La sua pedagogia è unitaria, perché concepisce lo sviluppo armonico del corpo e dell’anima ed assegna questi quattro fini fondamentali: Formazione del pensiero, ordinamento dei concetti, formazione del dovere morale, sviluppo del corpo sano e vigoroso.
Il Cilli fu sostenitore della scuola in cui fossero associati gli scolari, perché questa comunanza di vita, come si vede nella scuola moderna, è un coefficiente di sviluppo dell’intelletto. Per queste ragioni, egli afferma, “io son d’avviso che lo sviluppo dell’intelletto riuscirebbe manchevole nella educazione privata di un giovanetto, il quale venisse istruito con singolar cura da un maestro: a questo alunno solitario mancherebbe l’efficacissimo aiuto dei compagni, né potrebbe acquistar giammai coscienza che il pensiero stesso e quello che l’accomuna coi suoi simili quanto e più del bisogno della scambievole difesa e garanzia materiale”.
Lo stesso concetto del divenire intellettivo domina nel mondo morale: “La morale è un divenire, un preparare continua dei gradi inferiori per raggiungere i superiori, come un divenire e un superare continuo è la conoscenza. La virtù è frutto di lotte generose, nelle quali non entrano in campo delle forme contrarie affatto, ma pur lo spirito deve sempre più purificarsi della realtà oggettiva, in cui la passione cerca di trasfonderlo e di farlo scordare”.
Concluderemo questa breve e, ahimè, inadeguata spigolatura, rilevando come fosse superiore ad ogni pregiudizio e scevro da intemperanze settarie l’animo del Cilli; e ciò appare chiaro anche dal suo pensiero sull’insegnamento religioso nelle scuole:
“La Religione è potentissimo mezzo educativo; perocché in essa il pensiero si accorda con l’essere determinato, l’assoluto è nella persona, e la persona diventa assoluta: per tali ragioni è la più alta idealità, alla quale possa giungere chi sia incapace di comprendere il pensiero come pensiero, d’innalzarsi alla Scienza… A qualche settario potrà tornare utile di trasformare l’uomo in una cosa credente, io son d’avviso che i grossolani e gl’ignoranti non sentano il valore dell’Etica religiosa”.
Ci è stato possibile pubblicare questi brani, non perché in possesso delle opere di Luigi Cilli ma perché essi sono contenuti nel discorso commemorativo pronunciato da Luigi Illuminati il 27 dicembre 1936.